Il caso trattato ha visto coinvolta un’Azienda Speciale di un Ente Locale e un dipendente che aveva segnalato presunti illeciti all’interno dell’organizzazione.
La questione centrale della sentenza riguarda la valutazione della legittimità del licenziamento di un whistleblower, ovvero un dipendente che denuncia comportamenti illeciti all’interno della propria organizzazione.
Questa sentenza evidenzia l’importanza di una valutazione contestuale della materia, riconoscendo la necessità di tutelare chi denuncia illeciti all’interno delle organizzazioni.
Nel caso in esame, il dipendente aveva denunciato varie irregolarità ai superiori e successivamente presentato esposti all’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), sostenendo di aver subito ritorsioni, inclusi il progressivo ridimensionamento delle sue mansioni e la rimozione dalla responsabilità della regolazione tariffaria e dei rapporti con le autorità competenti. Questi fatti hanno portato alla contestazione del licenziamento come atto ritorsivo.
La Cassazione si pronuncia in merito alla protezione del Whistleblower dal licenziamento
La Corte ha stabilito che, per determinare se un licenziamento sia giustificato, è essenziale esaminare l’intero contesto in cui avviene il provvedimento, anche se le accuse disciplinari non sono direttamente collegate alle denunce effettuate dal dipendente.
Secondo l’art. 54-bis del Decreto Legislativo 165/2001, le segnalazioni effettuate dai whistleblower sottraggono le loro condotte a qualsiasi reazione disciplinare da parte del datore di lavoro, anche se queste condotte potrebbero avere rilevanza penale. La norma, infatti, protegge il dipendente da eventuali ritorsioni, esonerandolo dalla responsabilità disciplinare legata agli atti di denuncia.
La Corte ha ribadito che, se il licenziamento viene contestato come ritorsivo, il datore di lavoro deve sempre dimostrare l’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo per il licenziamento. Solo dopo che questa prova è stata presentata, spetta al dipendente dimostrare che il motivo principale e determinante del licenziamento era ritorsivo.
Inoltre, è stato sottolineato che l’accertamento della nullità del licenziamento per ritorsione richiede la verifica che l’intento di vendetta del datore di lavoro sia stato l’unico e determinante motivo per la risoluzione del rapporto di lavoro. Non è quindi sufficiente un giudizio comparativo tra le diverse ragioni del licenziamento; occorre escludere che ci siano altri motivi oggettivamente validi che giustifichino il provvedimento.
Infine, la Corte ha ricordato che le segnalazioni ex art. 54-bis del D.Lgs. 165/2001, anche se rilevanti penalmente, sono protette dalla normativa sul whistleblowing e non possono essere utilizzate come base per sanzioni disciplinari contro il denunciante.
Il testo della sentenza
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it